Una scuola per tutti: autonomia, equità, inclusione, pari opportunità.

Il progetto di ricerca “Analisi e costruzione di modelli innovativi per la programmazione di politiche di contrasto alla dispersione scolastica”1 è nato su un terreno di confine, da esperienze che connettono istruzione e formazione, in qualche modo, in un sistema, riferimento necessariamente unitario per le giovani generazioni e da capitalizzare come presupposto della formazione come opportunità lungo tutto l’arco della vita (lifelong learning). Vivere l’Europa che si pone il traguardo, al 2012, di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale, significa comprendere che la formazione, e quella permanente come implementazione consequenziale, rappresenta un elemento chiave della strategia per la competitività, l’occupabilità, l’integrazione e la coesione sociale, la cittadinanza attiva, la realizzazione di ciascun cittadino ‘europeo’, consapevole che l’apprendimento è la chiave di accesso non elitaria e selettiva bensì universale e democratica.3 I dati4 presi in considerazione, l’autorevolezza delle fonti, espressione diretta della visione politica generale, del clima del Consiglio europeo di Lisbona del 2000, hanno riproposto le criticità strutturali sistemiche ma anche la fragilità socio-culturale che consente di leggere le rilevazioni come vera e propria emergenza. Il “tempo di Lisbona’” infatti, e la macro-dimensione che rappresenta la finalità d’insieme per una Unione a 25, rispondono a logiche che sfuggono di fatto proprio al target che ne è destinatario, e divengono veri stati di necessità per i governi nazionali, per i sistemi locali, per ogni comunità, che dovrebbero rielaborare in chiave di pratica quotidiana principi che scandiscono ipotesi, percorsi, progetti. L’attività di ricerca trova, perciò, fondamento nella necessità di dotare o rafforzare, in chi quotidianamente interagisce con fasce di popolazione maggiormente fragile in termini di motivazione e di conseguenza maggiormente esposta al rischio abbandono, gli strumenti - a livello di conoscenze e di competenze - idonei a contrastare professionalmente il fenomeno. L’intervento ha preso a base l’analisi delle cause profonde della dispersione, delle dinamiche non valutabili estemporaneamente e sotto il profilo meramente quantitativo: la selettività e l’esclusione a fronte di scenari che, invece, sono caratterizzati da saperi diffusi, da competenze sempre più affinate, da coesione sociale alta nelle proiezioni di un sistema-mondo competitivo nella lotta alla povertà e all’emarginazione. Tra gli obiettivi vi è, ancora, il tentativo di porre le premesse per mettere in campo strategie di ricerca-intervento a partire dagli standard curriculari fino a realizzare microprogetti per rafforzare competenze trasversali e megacompetenze negli alunni/allievi per favorire modalità praticate di coping, di recupero dell’autostima, di elaborazione di progetti di vita e di lavoro cooperativo. Il parametro di professionalità proposto dalla ricerca è, infine, l’attenzione alle biografie di ogni alunno/allievo, ai contesti familiari, ai fattori socio-economici-culturali, per realizzare in uscita la motivazione e la pratica dell’intervento a rete a sostegno delle politiche sociali di inclusione e coesione attraverso la progressione di livelli avanzati di istruzioneformazione lungo tutto l’arco della vita.

Delineare le coordinate di funzionalità, efficacia ed efficienza dei percorsi di istruzione e formazione, mettendo sotto osservazione un microcosmo territoriale e connettendolo con la ricerca di qualità coerente con la vision di una Regione, la Puglia, che si misurerà, nel settennio 2007-2013, con la sfida di un Europa competitiva sul mercato mondiale, significa affrontare gli aspetti della complessità, e all’interno di questa dell’inclusione e della coesione sociale come obiettivi qualitativi del sistema in Puglia e nel territorio cui si riferisce questa indagine, un sistema sociale e formativo articolato e problematico com’è inevitabile che sia per una regione dell’Obiettivo 15. Il contesto nel quale si opera, le risorse impiegate nel sistema, i processi organizzativi e didattici che si attivano, i risultati che si ottengono (in termini di preparazione culturale degli allievi) delineano un vero e proprio modello interpretativo che può aiutare a chiarire le variabili in gioco nell’ecosistema formativo, nel quale entra in gioco anche l’ “attrattività” delle singole “offerte formative”. La pratica del benchmarking6 non deve però diventare un modello agonistico e competitivo tra scuole, territori o sistemi, ma piuttosto consentire un ragionevole confronto tra i dati a scopo migliorativo, riportando a quella unitarietà cui prima si è fatto cenno come valore del sistema e opportunità d’accesso. A Lisbona, nel 2000, la strategia era appunto orientata su un sistema pubblico di indicatori che possono stimolare la condivisione di obiettivi e l’armonizzazione dei risultati formativi. Il trattato dell’Unione, però, non si sostituisce ai diversi sistemi scolastici nazionali, nel rispetto delle loro radici e connessioni con l’identità e la storia di ogni paese, pur proponendo un progetto più ampio di educazione alla cittadinanza europea, a partire dalla scuola. Il nostro sistema, da quasi otto anni, si regge sui principi dell’autonomia scolastica, avviata dal 1° settembre 2000 con il riconoscimento della personalità giuridica alle singole istituzioni scolastiche, circa 11.000 in tutto il paese. L’autonomia implica certamente la necessità per ogni scuola di dotarsi di una propria strategia formativa, di definire una propria offerta didattica (rappresentata dal POF), di muoversi con maggiore intraprendenza nel territorio di riferimento (sia esso un quartiere, una città o una provincia intera). Si assiste così al rafforzamento della soggettività di ogni scuola, spinta per necessità vitali ad acquisire ed aumentare le risorse interne; a delimitare i propri confini verso l’esterno, accettando alcune regole di programmazione del servizio; a rendere visibile il proprio “marchio” per attrarre utenza; a decidere quali alleanze coltivare e quali competizioni affrontare, nel rapporto con strutture formative simili. La scuola dell’autonomia rappresenta un’organizzazione esemplare ma, nella logica di Lisbona, non può costituire solo argini difensivi, dovendosi necessariamente aprire a nuove relazioni, ed essere parte del sistema integrato ben più ampio e complesso. Molte scuole, sul territorio, si sono certamente misurate con i temi della flessibilità, dell’innovazione, del miglioramento continuo, anche con i paradigmi della qualità totale, dell’accreditamento, dell’accountability. Permangono, tuttavia, alcuni rischi di autoreferenzialità, di chiusura in logiche difensive, di difficoltà ad instaurare rapporti di ascolto-dialogo con le istanze esterne (stakeholders) e con tutti gli attori del sistema integrato istruzione/formazione. Occorrerebbe rifuggire, all’interno, dalla ricerca della quantità, mediante l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa, la messa in campo di micro-progetti, piuttosto che la messa a punto di un curricolo imperniato sui traguardi formativi “forti” che ogni scuola si impegna a far raggiungere agli allievi, nella armonia dell’integrazione sistemica, e sulle competenze trasversali più legate alle life skills (abilità per la vita). In questa ottica, autonomia significa rispondere in maniera fondatamente orientativa, rispetto al progetto più ampio della società cognitiva, alle richieste del contesto esterno, assumendosi la responsabilità del progetto culturale e educativo della scuola, con l’indispensabile corollario di rendere conto (monitoraggio e valutazione) dell’uso delle risorse e dei risultati raggiunti.

Fare rete, per fare “sistema”

L’autonomia delle singole scuole deve così coniugarsi con l’autonomia del ‘sistema’ scuola, del sistema istruzione/formazione: il “fatta salva l’autonomia della scuola” di cui parla la riforma del Titolo V della Costituzione (2001) pone proprio questa “riserva” costituzionale verso indebite invasioni di campo. È in questo in quadro che, anche nella nostra regione, emerge l’esigenza dell’idea di rete, come capacità delle scuole autonome di fare sistema, di rafforzare la propria identità ‘istituzionale’ senza timori reverenziali 12 verso l’esterno, anzi interpretando al meglio le proprie funzioni educative (di istruzione e formazione). Lo scambio tra pari (le altre scuole), il rapporto con altri soggetti istituzionali (gli Enti locali) e sociali (il mondo produttivo, i servizi, l’associazionismo), la messa in comune di conoscenze e professionalità, la pratica del confronto e della comparazione (benchmarking) sono le caratteristiche funzionali di una rete che può assicurare benefici e convenienze a tutti i partecipanti. La rete, però, ha la sua funzione anche come ricerca di equità. L’impiego imponente di risorse umane, al quale dovrebbe aggiungersi un’adeguata dotazione finanziaria per l’arricchimento dell’offerta formativa del territorio, messa a disposizione dalla rete degli Enti locali, dalla Regione, dai corpi sociali attenti all’etica dell’economia, oltre che ad un ‘benessere’ rilevabile nelle strutture e nelle attrezzature tecnologiche, deve infine rifluire in qualità della scuola, in risultati scolastici positivi, in migliori livelli di apprendimento degli allievi. È certo il risultato atteso più difficile. I risultati dell’istruzione non sono sempre così ‘visibili’, tanto meno nel breve periodo. La motivazione dei ragazzi; la curiosità e la passione per lo studio, la voglia di continuare ad imparare, non si misurano facilmente con i test ed il sistema degli esami è in assestamento. Altri strumenti qualitativi, quali il portfolio, sono ancora troppo ‘acerbi’ per apportare un contributo probante alla rilevazione delle competenze in uscita dal sistema scolastico e della formazione. Occorre, allora, considerare ulteriori indicatori quantitativi riferibili al successo formativo degli allievi. La lettura delle ‘regolarità’ nei percorsi degli studi, l’abbattimento delle irregolarità nelle carriere scolastiche e il contrasto della dispersione sono, in tale prospettiva, assai significativi.

La rilevazione dei livelli di apprendimento

Solo da alcuni anni si hanno a disposizione dati statistici, grazie a INValSI (Sistema nazionale di valutazione) ed a soggetti internazionali (OCSEPISA), raccolti nell’ambito però di programmi di ricerca che si ispirano ad obiettivi diversi e che sono realizzati con metodologie e strumentazioni diverse. L’INValSI intende accertare i livelli di conoscenza e abilità connessi ai curricoli didattici, l’OCSE invece si propone di rilevare i profili di competenza degli allievi di determinate fasce di età. I test Invalsi sono strutturati (a risposta multipla), mentre il 50% delle prove PISA sono ‘aperte’ e semistrutturate. I primi sono somministrati a tutta la popolazione scolastica, i secondi solo a gruppi limitati di allievi di scuole campione. I dati vanno quindi assunti con le dovute cautele, ma indicano trend significativi. Nel 2006, inoltre, la Regione ha partecipato con un proprio campione ‘significativo’ alle indagini OCSE-PISA per italiano, matematica e scienze.

Le buone pratiche

I risultati positivi registrati sul territorio costituiscono una prospettiva coerente con le premesse e sono il frutto dell’impegno delle scuole e delle azioni positive che caratterizzano il sistema educativo:  - l’avviata integrazione dei sistemi di istruzione e formazione; - le buone pratiche stimolate dall’autonomia, in termini di azioni di contrasto alla dispersione e all’insuccesso, che spesso chiamano in causa l’apporto di soggetti esterni, pubblici e privati; - il dialogo tra mondo della scuola e quello delle imprese, anche attraverso progetti sperimentali di alternanza scuola-lavoro, di stage e di tirocinio formativo; - la costruzione di una rete di agenzie, risorse e servizi (nel campo dell’handicap, dell’integrazione multiculturale, dell’educazione ambientale, delle nuove tecnologie; - una tradizionale propensione degli insegnanti ad aggiornarsi, a collaborare in rete, ad impegnarsi in progetti di sperimentazione e di innovazione.

“Qualità sociale” come alternativa alla crisi del welfare state

Il sistema educativo contribuisce alla dimensione inclusiva e accogliente del sistema sociale, si carica di valori partecipativi, fa riferimento agli obblighi di solidarietà, promuove il protagonismo attivo dei soggetti istituzionali (scuole dell’autonomia ed enti locali) e sociali (genitori, associazionismo, mondo produttivo). L’idea è quella di una ‘rete sociale’, che qui sta per cittadinanza attiva, capace di inserirsi nei flussi delle decisioni e quindi di favorire scambio e messa in comune di risorse professionali di varia provenienza, istituzionali in primo luogo, ma anche informali. Il lavoro di rete scaturisce dalla necessità di rifondare i grandi sistemi dello stato del benessere (un welfare sempre più burocratizzato ed in crisi di fiscalità), portatori spesso di cittadinanza passiva. Rifondare lo stato socio-assistenziale significa passare da una logica del chiedere ad una strategia del fare (sussidiarietà) ed anche la scuola dell’autonomia può essere interpretata con questo parametro (attraverso l’assunzione di responsabilità dal basso). Ciò non significa negare il ruolo dello Stato, ma promuovere strutture leggere, che mettono in comunicazione, che scambiano, stimolano, aiutano, ma non sostituiscono l’iniziativa dal basso. Sono gli stessi principi che ispirano tutta le legislazione sul decentramento ed il federalismo e che trovano una prima formulazione nella Legge n. 59 del 15 marzo 1997, non a caso la stessa che ‘fonda’ l’autonomia funzionale delle unità scolastiche. Da questo punto di vista, occorre rafforzare, quando non avviare, veri e propri laboratori territoriali per sperimentare nuove forme di decentramento, di autogoverno locale, di concertazione.

 
credits:CSL Puglia